Oggi mi sento ispirata, forse da ieri sera. Perchè ieri ho avuto la tipica esperienza che ti fa passare la voglia di uscire a cena. Beh, a me no, penso sia una missione impossibile. Ma comunque ti lascia l’amaro in bocca, il portafogli (più) vuoto e ti fa correre a mangiare dalla nonna invece che fuori.

Premessa: qui sul blog puoi notare come difficilmente io parli male di un ristorante. Il motivo è semplice: se un ristorante puzza di fregatura, tendo a non andarci. Se non puzza, ci vado e mi delude non ne parlo. Perchè qui, più che recensioni, cerco di darti consigli su dove andare. Poi penso anche che non si possa andare in un ristorante una volta ed esprimere un parere che può in qualche modo influenzare le persone. Mi è stato insegnato che una opinione critica deve avere basi solide. E sicuramente bisogna provare il posto in questione almeno due o tre volte. C’è chi non lo fa e critica, e va benissimo così. Ma non è il mio modo di essere e mi sentirei violentata a farlo.

Però ieri sono stata in un posto in cui ero già stata, e che mi era piaciuto. Non sto a fare nomi, il problema non è il posto in sè. Di posti così ce ne sono tanti, a Milano e non solo, e funge da esempio. Rientra in una delle categorie di ristoranti che per me dovrebbero chiudere. Ce ne sono molte altre, e probabilmente ne scriverò ancora. Ma questa serata colleziona già un bel po’ di elementi che farebbero storcere il naso a un bel po’ di persone. Veniamo al racconto.

È sabato e io odio cenare fuori nel weekend. Attesa, spesso si viene trattati peggio, il cibo è meno curato. Ma ieri ero fuori, non avevo voglia di tornare a casa e cucinare. Sono in Porta Genova e penso quindi a un posto veloce, accogliente, non così acclamato da essere pieno. Primo errore: se un posto è acclamato un motivo c’è. Settimana scorsa sono stata da Berberè, che amo alla follia, avevo prenotato sabato per sabato e pur essendo sempre pieno mi hanno accontentata. Io, poco furba, avevo prenotato nel Berberè Isola. Arrivo in via Vigevano e comunque, con gentilezza, mi trovano posto – era pienissimo. Ecco, Berberè per me è stato l’esempio virtuoso di come accontentare un cliente. Comunque ieri erano le 19.30, confido anche in questo. Bene, locale deciso: ci ero stata un anno abbondante fa, quando aveva appena aperto, e anche allora ricordo che era vuoto ed eravamo stati trattati bene. Ho poi letto pareri contrastanti in giro e sono rimasta stupita. Ma pazienza, capita, a me era piaciuto. Senza alcun pregiudizio, ma anzi con la voglia di difenderlo, entro e chiedo un tavolo per due.

“Avete prenotato?”

“Eh no, mi spiace”

“Eh allora abbiamo posto solo al bancone”

“Ma come, sono le 19.30, è tutto tutto prenotato?” (locale vuoto, non per dire. Vuoto davvero)

“Eh, oggi è sabato!” e interviene da dietro un altro “È tutto prenotato già da settimana scorsa!” (che, avete ansia di far capire quanto il ristorante sia fico e sempre pieno? Strano, ogni volta che passo di qui lo trovo vuotino).

Infastidita, ci sediamo al bancone, apparecchiato con una tovaglia di carta e le bacchette usa e getta. Però il coperto costa 2€.

Allora, un po’ per curiosità e un po’ perchè il voler ostentare la pienezza del locale mi aveva irritata, tendo l’orecchio quando entra qualcuno per capire se effettivamente avessero prenotato. La sensazione era che il bancone fosse in vetrina, e che noi fossimo stata usati per essere messi laddove la gente, passando, poteva vedere che il locale non era vuoto. E beh, è una cosa MOLTO irritante. Poco dopo entra un’altra coppia, a cui viene detto che è tutto prenotato, e che possono sedersi al bancone. Loro rispondono qualcosa e vedo che vengono accompagnati in fondo, a un tavolo. Mmm, strano. Va beh, mangio il mio piatto, che arriva due minuti dopo averlo ordinato. Avevo fame ed ero contenta. Ma due minuti? Non è forse un po’ poco?

Ah, mi sono dimenticata un dettaglio: il suddetto piatto era ordinabile in due versioni. Una “piccola” e una grande”. Ma nel suddetto piatto c’è sempre un ingrediente, il mio preferito. Che chissà perchè si trovata solo nella versione “grande”, che faceva salire il prezzo di 2€. Un’altra cosa irritante: mi sono sentita come quando su Ryan Air se vuoi prendere qualcosa di extra ti devi svenare. Ma lì è “giusto”, lo sai, te lo aspetti, Ryan Air è così. Qui invece il locale sembra easy, di quelli dove spendi forse un pochino meno. E invece no, perchè c’è l’asterisco nel menù che specifica tutto quello che non troverai nel piatto “piccolo” e quindi finisci per spendere di più.

Comunque mangiamo, attapirati, sugli sgabelli e alle 20 abbiamo già finito. Il locale, inutile a dirsi, è ancora vuoto. Mio fratello ha fame, ordina un altro piatto. Anche questo è da noi in 5 minuti. Mangiamo. Nel mentre il mio piatto è ancora lì. Diciamolo: è un ramen. Avevo finito pasta e altri ingredienti, ma avevo lasciato il brodo. Io AMO il brodo, lo lascio in fondo per godermelo, sorseggiarlo, non ne lascio neanche una goccia. E mi lascia un po’ interdetta il cameriere – che forse non è solo cameriere, forse è il responsabile – quando passa e mi mette le mani sulla ciotola, per portarmela via. È un ramen, cioè, è come se quando mangi gli spaghetti con le vongole, quando hai finito le vongole, ti portassero via il piatto. La prima volta però cortesemente gli dico che vorrei finire il mio brodo. Va via. Mio fratello finisce il suo secondo piatto. Io ho ancora un po’ di brodo. Il cameriere ripassa e porta via il piatto di mio fratello e prova ancora a portare via il mio. Per caso vuoi mandarci via? Eppure sono le 20.30, e il locale è ancora piuttosto vuoto. Ah fa anche una battuta, forse pensa di essere simpatico: “Per me puoi anche metterlo in borsa questo piatto, perchè ti ripaghi la cena. Costa 70€!” – e sticavoli?!

Ordiniamo anche il dolce, tornare a casa a quella ora ci sembrava triste. A questo punto può finalmente portare via il mio ramen. Tutti felici e contenti. Nel mentre il mio cervello fuma, perchè continuo a chiedermi perchè non ci abbiano fatto sedere comodi a un tavolo, specificando che però avremmo dovuto lasciarlo entro una certa ora e lasciando a noi la scelta. Soprattutto sapendo che loro portano i piatti in due minuti e cercano ti portarli indietro in cucina non appena ti distrai.

Poi faccio un erroremea culpa. Mio fratello va in bagno e io mi alzo, inizio a prepararmi. Non ho ancora iniziato a mettere la giacca che il cameriere/responsabile frettoloso sparecchia, quasi spingendomi un po’ più in là. Urto la signora a fianco, mi scuso, ma proprio non so come mettermi. Mi sentivo come quando in metropolitana la gente vuole scendere e tu sei in un punto nevralgico, non puoi metterti in nessun posto senza dare fastidio. Lì però puoi scendere e risalire. Forse anche qui volevano io uscissi e rientrassi dopo, per pagare, quando mio fratello avesse finito in bagno. Non appena era stato finito di sparecchiare e “apparecchiare” è stata anche spinta la mia sedia (beh, sgabello) sotto il tavolo (bancone) per farmi capire, in caso non fosse chiaro, che non potevo risedermici. Eppure la giacca di mio fratello era ancora sull’altra sedia.

Bene, andiamo a pagare. 46€. Per la stessa cosa in posti più buoni difficilmente si va sopra ai 40. Ma pazienza, ormai era andata, inutile ripensarci. Eppure non ci sono riuscita, stamattina avevo ancora un po’ di irritazione addosso. Anche per l’atteggiamento, il non detto, le espressioni. Sono riusciti a farmi sentire indesiderata, di troppo. Come in quei posti super fighetti dove se non sei qualcuno ti guardano dall’alto in basso. Che va beh, transeat. Ma li evito, come la peste, e non corro rischi. Ma qui è ancora peggio, perchè il posto sembra carino, gentile, normale. E poi ti infinocchia alla grande. Per essere eleganti.