Faccio parte di quella generazione in cui i cartoni animati sono sempre stati per la stragrande maggioranza giapponesi, così come i fumetti. Soltanto occasionalmente c’erano eccezioni d’oltreoceano della Marvel o qualche prodotto made in Italy. Sono insomma cresciuto con quella sorta di immaginario collettivo creato da Miyazaki, Toriyama e altri nomi illustri di quell’arte tipicamente nipponica che è il mondo degli anime e dei manga. Heidi, Il Mistero della Pietra Azzurra, Lupin, Dragon Ball e poi Akira, Ghost in the Shell, e tanti altri. In età adolescenziale questa passione per l’Oriente si sposta in Cina e entra nell’ambito gastronomico, con la frequentazione di  uno dei quartieri cinesi più celebri e storici in Italia: Chinatown e la splendida Paolo Sarpi. Ed è per questo che vi voglio parlare di Chateau Dufan, l’ultimissimo cinese aperto qui.

Iniziano le prime uscite a cena con gli amici, ancora ai tempi del liceo e i primi azzardi di piatti a noi europei quasi o del tutto sconosciuti: manzo piccante in brodo, alghe, felci (?), manzo freddo del Sichuan, spaghetti in brodo e simili. Il primo storico ristorante che frequentai fu il 999 in via Lomazzo, una traversa della ben più celebre Sarpi, dove portai addirittura mia nonna: negli ultimi anni la sua vita era diventata piuttosto sedentaria, decisi quindi di farle provare posti e cose che ancora non aveva visto in vita sua. Da buona pavese, per lei la cucina era quella italiana. Riuscii in parte a convincerla che non era così. 

Infatti la cucina cinese non ha da invidiare molto a quella italiana, soprattutto per i passi da gigante fatti negli ultimi anni anche in Italia. Un perfetto esempio è Chateau Dufan, dove ho portato mia sorella ed il mio amico di cene asiatiche Luca. Il ristorante è diametralmente opposto rispetto al tipico ristorante cinese secondo l’immaginario collettivo di noi occidentali: dimenticatevi quindi le gigantesche lanterne, il riso alla cantonese (inesistente in Cina) o l’involtino primavera. Qui si mangia cinese davvero, anche se riveduto e corretto in chiave moderna. 

I prezzi di Chateau Dufan sono la prima cosa che salta all’occhio assieme all’arredamento: se i vecchi erano perlopiù trattorie da prezzi popolari, ancora quasi da piena epoca maoista, questo è minimalista, completamente asettico, con prezzi più consoni ad un ristorante di qualità. E un bellissimo ambiente. Eppure per come si è mangiato non abbiamo speso molto. Non era troppo perché abbiamo mangiato bene, tanto, bevuto 2 bottiglie di buon vino, caffè e amari (doppio giro) e siamo stati nel range dei 40€ a testa (nettamente inferiore a quello che si spende in un qualunque ristorante italiano per stessa qualità e quantità).  

I piatti di Chateau Dufan attraversano la tradizione ma incontrano al tempo stesso il moderno strizzando un occhio all’occidente: dim sum, ramen (lo spaghetto in brodo che vi ho citato prima è il prototipo del ramen, che nasce in Cina e si sviluppa in Giappone dove prende il nome), riso di vario genere, curry, scodelle di fuoco e pesce. È presente anche qui la cucina sichuanese, fortemente diffusa in zona Sarpi. Noi abbiamo preso diversi tipi di ravioli, tutti davvero ottimi, quasi al livello dei nostri preferiti di Fratelli Ravioli, e i baozi (chiamati involtini nella traduzione italiana), che sono di qualità, ma forse meritano meno dei ravioli. Pazzeschi i ciuffetti di calamari fritti, ordinati due volte. Un altro piatto particolare è il donburi, una ciotolona di riso con carne e sugo. C’è poi una carta a parte con tutti i piatti piccanti: noi abbiamo preso i gamberoni. Sei di numero, ma molto buoni.

Ecco, se vogliamo parlare di integrazione, questa è l’integrazione che piace a me, questa è l’integrazione che fa bene. Il valore aggiunto. Ed è per questo che sono contento che Chateau Dufan, un tempo solo pasticceria e gelateria, sia diventato un ottimo ristorante cinese, di quelli che piacciono a me e mia sorella.

Chateau Dufan
sito ufficiale
Piazzale Baiamonti 1 – angolo Via Paolo Sarpi
tutti i giorni 12.00 – 15.00 | 19.00 – 24.00