Diciamo che con un blog che si chiama “A Milano puoi”, consigliare un ristorante di cucina milanese è un dovere. Ammetto che difficilmente mangio cucina meneghina fuori di casa, il risotto con l’ossobuco di mia madre, per me, è sempre il migliore! Ma questa orecchia di elefante è la più buona che abbia mai mangiato.
Sono stata gentilmente invitata ad una cena a porte chiuse e ho portato mia madre. Quando le ho detto il nome del ristorante, non ha fatto un plissè. Però poi le ho detto che un tempo si chiamava Gran San Bernardo, e ha sussultato. Perchè io ho 26 anni, ma quando questo ristorante era in auge mia madre era una ragazzina, e se lo ricorda bene! Una stella michelin nel ’68 e clienti affezionati del calibro di Maria Callas e Gianni Brera. Ma come dico sempre, Milano per me è bella perché è veloce e cambia continuamente. A farne le spese però è spesso la tradizione, ed è sicuramente una sfida impegnativa cercare di riportare Alfredo Since 1964 agli antichi splendori. Ma Stefano ed Enrico Pini, insieme a Paolo Annoni, sono fierissimi di presentare il loro giovanissimo chef Fabrizio Frongia. Appena trentenne e visibilmente emozionato quando racconta la sua filosofia e i suoi piatti. Tutto ha un perchè, la sua ambizione è rieducare alla tradizione, all’utilizzo di tutto quello che si usa in cucina senza sprechi e senza buttare via nulla, sfruttando la stagionalità dei prodotti. Certo, per chi non è esperto, non è semplicissimo. Ma lui sa bene come farlo. Tra gli esempi, il brodo con i midolli per cucinare il riso allo zafferano, o l’utilizzo dell’acqua di cottura della zucca con cui si è preparato l’accompagnamento dei mondeghili. I sapori sono molto “veri”. Il midollo dell’ossobuco non piace a tutti, ma vi assicuro che mescolato al risotto è incredibile!
A mia mamma mancavano i fegatini, e lo chef ha spiegato che le persone storcono un po’ il naso, ma che il suo obiettivo è reintrodurre tutto, così com’era una volta, gradualmente. E in effetti è davvero controcorrente, dato che ora va di moda mangiare le pietanze etniche più assurde, ed è difficile trovare ancora ristoranti tradizionali. Mi è piaciuto davvero molto. Però il piatto forte, per me, è la cotoletta. L’altezza e la consistenza erano ottime, ma il salto di qualità lo fa per la panatura, ottenuta con il pane fatto “in casa” tutti i giorni.
L’atmosfera è quella di una volta, con dei tocchi di modernità. Lo stile non è quello che va di moda adesso, ma ha un gusto sobrio e curato che non ha età. Il servizio è ottimo, ma ci tengo a sottolineare che il budget per mangiare qui non è da tutti i giorni. La qualità è ottima, ed è ideale per una occasione o per una cena di famiglia.
Adesso sono curiosa di tornare nel tempo per vedere come evolverà il progetto dello chef!
Via Giuseppe Antonio Borgese, 14
Domenica chiusura
Lunedì – Venerdì: pranzo e cena
Sabato: solo cena